All’inizio fu One billion rising. L’evento mondiale ideato da Eve Ensler che ogni 14 febbraio, giorno di San Valentino, coinvolge le donne di tutto il pianeta in un trascinante flash mob per ‘spezzare la catene’ (Break the chain è il titolo della canzone) che ancora le tengono soggiogate al patriarcato,

a qualunque latitudine, ceto sociale o credo appartengano, è stata la prima ‘onda’ capace di sollevarsi fino a lambire ogni terra.
Noi donne, singole gocce di un vaso stracolmo di sofferenza e indignazione e pronte a traboccare, ci eravamo già raccolte in nuvole. Qua là, nel mondo, a fronte di chi minacciava vento, soffiando su sessismo, violenza, misoginia credendoci pecorelle troppo sparse nella vastità del cielo, avevamo già minacciato tempesta. E la pioggia è scesa, fatta delle lacrime di chi subiva una violenza o vi assisteva impotente, composta di temporali carichi dei tuoni e fulmini dei cori di protesta o di semplice diluvio silenzioso e incessante di coloro che sono scese a dilavare strade in cui l’ingiustizia contro il genere femminile si era sedimentata: dal Sud America all’India, dall’Africa all’Europa, da Bring back our girls a Ni una menos, da Se non ora, quando?Yo decido. One billion rising, usando linguaggi universali e ancestrali come la musica e la danza, mostrandoci come il web possa unirci in rete, contagiarci, diffondere in modo virale e senza vaccini, per chi non possieda già gli anticorpi, il nostro ‘mal essere’ in questa società, ha indicato a noi, fiumi o rivoli, la via per il mare.
La marea, che era calata dopo che le donne avevano ottenuto, neppure dappertutto e in tempi solo recenti, il voto, la libertà di scegliere se abortire o divorziare, il diritto alla proprietà o sui propri figli, a non essere schiavizzate o uccise per l’effimero onore di un uomo, con One Billion Rising è tornata a crescere. In questi ultimi anni, mentre la convenzione di Istanbul sanciva, nel continente europeo, l’esistenza della violenza di genere, economica, psicologica, fisica, contro le donne e indicava nel patriarcato la sua origine, e l’Onu (UnWomen) lanciava la campagna Heforshe, denunciava la tratta delle migranti e indicava nell’istruzione femminile (di cui la premio Nobel Malala Yousafzai è simbolo) uno dei cardini per il cambiamento, nel mondo il termometro della misoginia, tra chi vuole riappropriarsi dei nostri corpi, della nostra fertilità, tra chi ci vuole oggetto e pensa di tornare, impunito, a usare la clava, è tornato a salire.

Ma il femminismo ha ritrovato la sua strada, nelle piazze, nei collettivi, nelle università e la marea, dilagante, da Non una di meno alla Women’s march, sta di nuovo montando. Dopo la ola mondiale di One Billion Rising, verrà lanciato, per l’8 marzo, lo sciopero delle donne: un’astensione non solo dal lavoro (dove possibile) ma da spesa, pulizie, cucina, elettrodomestici, attività di cura, ruoli preconfezionati: lo slogan di Lotto-Marzo è ‘se le nostre vite non valgono, non produciamo’. 
Dopo che Ade, con la sua prepotenza maschile, ha tenuto Persefone prigioniera negli inferi, è tempo che lei torni in superficie a seminare la primavera.