Ai fini pubblicitari “… non era certamente necessario per lo inserzionista l’utilizzo di tale copertina nella propria comunicazione commerciale… L’utilizzo appare piuttosto volto ad imporre il messaggio all’attenzione del pubblico, attraverso

un’immagine provocatoria che supera il limite della pubblicità sessista, limite avvertito come ormai invalicabile da gran parte dell’opinione pubblica“. In questa ‘osservazione’ che conclude l’ingiunzione (n.115/2012) del 18 dicembre 2012 del Comitato di Controllo dello Iap (Istituto per l’Autodisciplina Pubblicitaria) nei confronti delle Ed. Condé Nast spa per la copertina di dicembre del mensile GQ c’è tutto il senso della battaglia condotta contro la pubblicità sessista, che offende femmine di ogni età e ne dà un’immagine di mero oggetto sessuale: la donna nuda non serve, se non a solleticare appetiti che, con il soggetto da promozionare, non c’entrano nulla.
Per assurdo, se GQ avesse usato l’immagine che ritrae (come descritto nell’ingiunzione) “il noto chef Carlo Cracco in smoking mentre viene abbracciato in modo provocante da una modella nuda, che indossa solo un paio di stivali con tacco a stiletto e tiene in mano un grosso pesce, all’altezza delle parti intime dell’uomo” solo per farne la copertina e richiamare un servizio dal titolo “Sex Food & Rock’n Roll” (che comprende, tra l’altro altre foto con lo chef e due modelle nude), lo Iap non sarebbe potuto intervenire, trattandosi di una scelta editoriale. Nel caso specifico, invece, l’immagine è stata proposta su altri media (Repubblica e Vanity Fair) per pubblicizzare la nuova versione digitale interattiva della rivista con lo slogan “Nasce un nuovo modo di leggere GQ”. L’uso del tablet per sfogliare la rivista sarà innovativo ma la donnina nuda che si struscia contro l’uomo in smoking “che non deve chiedere mai” è invece il richiamo per polli (le allodole, qui non c’entrano!) più vecchio del mondo. Solo che, finalmente, si comincia a ritenerlo lesivo della dignità della donna, come ben scrive l’ingiunzione: il Comitato “…ritiene che il messaggio in questione si faccia veicolo di una rappresentazione contrastante con l’art. 10 del Codice di Autodisciplina, il quale impone alle comunicazioni commerciali il rispetto della dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni e di evitare ogni forma di discriminazione. Non vi è dubbio, ad avviso del Comitato, sul carattere svilente della rappresentazione descritta, dovuto all’uso strumentale del corpo nudo della donna, che nell’atteggiamento, la posa e il contesto complessivo appare in un ruolo decisamente subalterno rispetto all’uomo. La donna, nella sua nudità, sembra in preda alle sue pulsioni, pronta a soddisfare i desideri di un uomo che tenta, ma che appare fiero, impassibile, perché può disporne a proprio piacimento: gli espliciti richiami sessuali confermano tale decodifica”. GQ ha sostituito la copertina e ha tentato di buttarla sul ridere: persino la modella, Jessica Dykstra, afferma di non trovare “nulla di volgare negli scatti”, ribadisce di non essersi mostrata in fondo “a gambe divaricate” e sostiene che “molte donne hanno ingigantito il potenziale di volgarità di quelle foto soltanto perché probabilmente non hanno molto senso dell’umorismo“. In realtà non è lei a doversi giustificare: sarebbe come prendersela con le prostitute-vittime anziché con i clienti-sfruttatori: è una regola di mercato, finché c’è domanda, c’è offerta. In ogni caso non c’è nulla di divertente. Il nesso tra sfruttamento spropositato e ingiustificato del nudo femminile e violenza sulle donne è lo stesso che lega le polveri sottili nell’aria e i tumori: non c’è una dimostrazione scientifica ma la correlazione è evidente, anche se nudo e Pm10 non sono l’unica causa dei due mali. In entrambi i casi, però, serve un clima migliore.

ps: affinché ciascuno potesse trarre le proprie conclusioni ho deciso di pubblicare in formato micro la copertina, comunque reperibile online