La diffusione del termine femminicidio è una dimostrazione, per chi ironizza non riuscendo a capire, dell’importanza della singola parola. Se il termine inglese spread è servito ad accendere i riflettori sulla condizione della nostra economia, femminicidio ha fatto emergere il grave problema sociale della violenza, anche estrema,

degli uomini contro le donne.
Come far seguire, a questa prima parola, altre di pari importanza, come chiamare ministra le donne al Governo, applicando correttamente la lingua italiana? E come evitare che poi, pur denunciando con la parola femminicidio la volontà di uccidere una persona di genere femminile in quanto tale, nel racconto dei fatti di sangue si cada negli stereotipi del carnefice colto da raptus, geloso e possessivo che tendono a giustificare e ad escludere la pura volontà omicida?
Una risposta la sta dando l’Ordine dei Giornalisti promuovendo, tra i corsi di aggiornamento professionale, quello proposto da GIULIA Giornaliste su “Come i media raccontano le differenze” approfondendo tanto le corrette declinazioni delle professioni al femminile, quanto i termini da usare e da evitare nel raccontare episodi di ‘nera’. I giornalisti, infatti, tramite carta stampata, tv e web, sono i primi ‘interpreti’ dei fatti di cronaca, educano la popolazione, più o meno consapevolmente, con l’esempio di un uso del linguaggio corretto nella forma e nel metodo.
Il comitato Se non ora quando? Snoq di Lodi, insieme al Comune e a numerose associazioni (tra le quali chi si occupa di violenza sulle donne), porta a Lodi, il 18 aprile, uno di questi corsi che approfondirà anche le discriminazioni verbali nei confronti delle persone Lgbtq (Lesbian, gay, bisex, transgender, questioning).

Come i media raccontano le diferenze