ROMA – Per chi ha conosciuto Alma Sabatini per le sue “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, ancora presenti oggi sul sito del Ministero delle Pari Opportunità (sebbene, a 25 anni di distanza, siano rimaste pressoché

inapplicate), il documentario “Mi piace vestirmi di rosso”, che la vede impegnata, pure sanguinante, nelle manifestazioni di piazza a sostegno di divorzio e aborto, femminista tra femministe di ogni età, contribuisce a consegnarne un ritratto più umano e verace. Il video, ideato e realizzato da Edda Billi, Marina Del Vecchio, Paola Mastrangeli e Giovanna Olivieri, tutte compagne di lotta, con la regia di Laura Valle, per il Fondo ‘Alma Sabatini’ e l’associazione Archivia, entrambe presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma, è stato presentato sabato 19 maggio in apertura del seminario “La lingua dell’Alma” proprio presso la ‘Casa’ di via della Lungara.

ALMA LA FEMMINISTA Alma Sabatini, nata a Roma il 6 settembre del 1922, insegnante d’inglese, lascia presto la scuola per dedicarsi al femminismo. Militante dal 1963 nel Partito Radicale e dal 1969 componente del Comitato direttivo della Lid (Lega Italiana per l’istituzione del divorzio) è fra le fondatrici del Movimento di Liberazione della donna federato al Pr, da cui si discosta (“Quanti si stanno impegnando contro l’aborto?” chiedeva Alma per spiegare le sue motivazioni) per aderire al gruppo separatista Collettivo di lotta femminista (poi Movimento femminista romano) di via Pompeo Magno. Al corteo dell’8 marzo 1972 a Roma viene picchiata dalla polizia che carica le manifestanti e al processo di Padova contro Gigliola Pierobon per aborto, nel 1973, si autodenuncia in aula, senza in realtà aver mai abortito. Grazie alla sua perfetta conoscenza dell’inglese, maturata in molti soggiorni in Gran Bretagna e negli Usa in quanto vincitrice di molte borse di studio, partecipa attivamente a congressi internazionali e, invitata dalle femministe americane, a un tour di conferenze, divenendo elemento di congiunzione fra il femminismo italiano e quello estero. Le lotte per la legge sull’aborto, per il nuovo diritto di famiglia, per la legge di iniziativa popolare contro la violenza sessuale la vedono sempre in prima fila.

LE ‘RACCOMANDAZIONI’ Nel 1986 diviene componente della Commissione governativa di Parità fra uomo e donna; nel 1986 il Governo pubblica le sue “Raccomandazioni”, a cui fa seguito nel 1987 il più completo “Il sessismo nella lingua italiana”. Come è emerso dal seminario, i due testi fecero scalpore, i più noti giornalisti la criticarono, la schernirono. Quelle pesanti critiche, purtroppo, sono ancor oggi d’attualità: dopo 25 anni c’è chi ancora sorride a sentire dire ministra, arbitra o ingegnera e sono molte le donne che, pur ricoprendo incarichi di prestigio, continuano a declinare la propria professione al maschile. Eppure, questo è l’elemento emerso in tutta chiarezza nel corso del seminario, la presunta neutralità del maschile nella lingua italiana è un falso, come la Sabatini dimostrò semanticamente già nel 1987: occorre un linguaggio più paritario perché le donne siano presenti nella rappresentazione figurativa del mondo. Diversamente, le ripercussioni della ‘falsità del neutro maschile’ continueranno a produrre effetti negativi sull’intera società, a danno delle donne. Se l’impegno in prima linea di Sabatini si interrompe il 12 aprile 1988, quando perde la vita in un incidente stradale nel quale resta ucciso anche il marito Robert Braun, tocca alle donne odierne rivendicare le pari opportunità partendo dal linguaggio.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO? “Portare una parola nuova, diceva la Sabatini, è un atto politico – ha ricordato Paola Mastrangeli -. Ma il suo intento non era creare contrasti, bensì aprire nuovi orizzonti. In fondo non mi è mai capitato di vedere una maestra che si offende se la sua professione viene declinata al femminile. Perché dovrebbe farlo una ministra?” Sul tema della falsità del neutro è intervenuta anche Kuei Ying Proietti dell’Università Sapienza di Roma, che ha dimostrato la modernità delle “Raccomandazioni” di Sabatini confrontandole con quelle redatte da Parlamento Europeo nel 2009. Nonostante le premesse (“Utilizzare un linguaggio neutro dal punto di vista del genere vuol dire evitare l’uso dei termini che, in quanto implichino la superiorità di un sesso sull’altro, possono avere una connotazione di parzialità, discriminazione o deminutio capitis, giacché nella maggiore parte dei contesti il sesso di appartenenza della persona interessata è o dovrebbe essere irrilevante”) l’Unione europea tende ad una parziale neutralizzazione ma solo la femminilizzazione dei termini proposta da Sabatini sembra condurre ad una effettiva parità. Se infatti anche a livello sovranazionale si invita ad abolire il ‘signorina’, a preferire il titolo professionale alla ‘signora’, a citare nome e cognome piuttosto che mettere l’articolo “la” davanti ai cognomi delle donne, ad evitare lo splitting (duplicazione dei termini; ad es. bambini e bambine) e a ricorrere alle forme impersonali (“si invita…”), ci si limita poi, per la declinazione delle professioni (il presidente o la presidente?), a “rispettare i desideri dell’interessata” e a giustificare formule come “la corte europea dei diritti dell’uomo” anziché “della persona”.

APPELLO AI MINISTRI PASSERA E FORNERO Passando dalla dimensione europa a quella scolastica, Donatella Artese e Teresa Santilli, impegnate in progetti didattici, hanno manifestato la volontà di rivolgersi al ministro dell’Istruzione Francesco Profumo e alla ministra delle Pari Opportunità Elsa Fornero “per impegnarli in un protocollo d’intesa che faccia entrare la storia delle donne nella storia dell’umanità. E’ un processo ormai ineludibile per contrastare questa società soffocante e violenta”. Insomma bisogna ripartire da Sabatini, che (lo ha ricordato Saveria Rito portando alla luce alcune carte del Fondo) fu anticipatrice di molte istanze, non solo inerenti il linguaggio ma anche inseminazione e gravidanza, ricordando il suo monito: “Il femmismo è la coscienza che non esiste la possibilità di liberazione individuale al di fuori di quella di tutte le altre donne”.